Secondo l’ISTAT, il 31,5 per cento delle donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni ha subito nel corso della propria vita qualche forma di violenza fisica o sessuale. E le forme di violenza più gravi, sempre secondo l’Istituto nazionale di statistica, sono esercitate da partner, parenti, amici; che sono gli autori di tre stupri su quattro. Sono numeri agghiaccianti che raccontano le realtà vissute da molte, troppe donne.
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Le violenze subite o esercitate in ambito della coppia non avvengono per caso. Gli psicologi e gli psicoterapeuti che hanno approfondito il tema delle violenze domestiche hanno descritto un ciclo della violenza in quattro tappe.
1. La quotidianità della coppia, il crescere della violenza
Questa fase precede la comparsa della violenza. Ci sono tensioni tra i coniugi che creano insoddisfazione, ansia, incomprensioni e che nel chiuso della coppia possono sfociare in ostilità. Critiche e aggressioni verbali si succedono fino ad arrivare al culmine: «È come una pentola a pressione, fino a un certo punto ti trattieni, poi esplodi», ha spiegato al terapeuta un marito autore di violenze fisiche nei confronti della moglie.
2. Espressione della violenza
Le forme della violenza domestica variano da caso a caso e anche nel corso degli anni. Possono essere frequenti o rare. L’intensità però tende ad aumentare con il passare del tempo.
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3. La remissione
È una fase importante. Nella maggior parte dei casi l’uomo che picchia la compagna tende a dosare la violenza in modo da non farle troppo male. L’obiettivo è ottenere qualcosa da lei, non che se ne vada di casa e lo abbandoni. Per ristabilire i contatti, dopo la violenza, l’uomo si scusa. Alcuni piangono e promettono di non farlo mai più, altri restano prostrati per ore o giorni.
Spiegano che in realtà le vittime maggiori sono loro, spinti all’esasperazione dai comportamenti, dalle parole o dalle decisioni della partner. Qualcuno attribuisce le violenze agli ormoni maschili che ha in corpo. Comunque si siano svolti i fatti, gli obiettivi in questa fase sono di mantenere la relazione, persuadere la partner che si tratta di un fatto eccezionale, ottenere il suo perdono.
Davanti alla fragilità esibita dall’uomo, alle sue lacrime e alle sue scuse (vere o false che siano) e alla sua ferma intenzione di ricominciare, molte donne cedono. Un uomo che piange non può essere violento, pensano, e il fatto che voglia ricominciare significa che lui la ama ancora. Seguono regali, serate romantiche, una ripresa dei rapporti sessuali.
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4. La luna di miele
C’è una fase in cui la relazione sembra andare a gonfie vele, dove lui e lei si scambiano promesse e buoni propositi. Ma se le condizioni socioaffettive che hanno prodotto la prima crisi restano immutate possono riverificarsi gli stessi effetti. Se non c’è un reale cambiamento, sia nel modo di reagire alle frustrazioni e alle difficoltà della vita lavorativa, sociale e di coppia, l’uomo riprende ad accumulare tensioni, insoddisfazione e ansia. A questo disagio psicologico la compagna può reagire cercando di non urtare la sua sensibilità, mostrandosi comprensiva e disponibile oppure – con i suoi atteggiamenti, le sue ansie, i suoi timori – contribuire a far precipitare la situazione. D’altro canto, non è detto che la strategia basata sul silenzio e sulla tolleranza abbia successo. A volte riesce a contenere una nuova crisi o a ritardarne la comparsa, ma non sempre a evitarla.
PREVENIRE E RIEDUCARE
In ogni caso, l’educazione che si riceve a partire dall’infanzia è fondamentale. Ai bambini e alle bambine bisogna fornire buoni modelli di relazione tra i due sessi in famiglia e nella comunità, impartire un’educazione emotiva, insegnare a comunicare in modi non violenti. Bisognerà anche smantellare con opportune osservazioni e critiche quei modelli violenti e volgari che a volte provengono dai media, dove per attirare l’attenzione degli spettatori i protagonisti di film, talk show o altro si abbandonano a insulti e intemperanze. E’ importante sottolineare che i modelli provenienti dai media non possono innescare comportamenti violenti in bambini che fanno esperienze di ambienti familiari sani.
Sappiamo che i fattori culturali radicati – come una disparità di trattamento tra maschi e femmine nell’infanzia – sono i più difficili da modificare perché collegati a emozioni e affetti nei riguardi di persone, come i genitori, nei cui con- fronti c’è un rapporto di fiducia, dipendenza e forte identificazione.
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L’educazione emotivo-sentimentale è un altro aspetto da curare. Se fin dall’infanzia si è abituati a parlare di emozioni e a riconoscerle, a non vergognarsi di provare stati d’animo come dolore, vergogna, gelosia, odio, paura, è più difficile restarne poi travolti. Per poter vivere in coppia nella società contemporanea serve poi coltiva- re l’intelligenza emotiva. G
razie a questa capacità si superano i preconcetti, non si confondono i propri desideri con quelli del partner, non si pretende l’impossibile, non si proietta il proprio disagio sull’altro. Si accettano i propri e gli altrui limiti e non si pretende di avere sempre ragione. E si riesce a controllare la rabbia, che è spesso il fattore scatenante della violenza.
L’analfabetismo emotivo
L’analfabetismo emotivo rende invece difficile la vita di coppia, genera blocchi della comunicazione e rende difficile tollerare i segni di disagio negli altri, così da favorire la tendenza a fuggire di fronte alle emozioni altrui. Ma fuggendo le incomprensioni restano irrisolte e nel tempo possono ingigantirsi.
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La comunicazione è un’altra abilità da coltivare sia per avere buone relazioni in generale sia per affrontare quei conflitti che prima o poi possono nascere nel corso di una convivenza. Qualcuno pensa che i conflitti siano sempre negativi; in realtà, se li si affronta col desiderio di risolverli, i conflitti possono essere co- struttivi: consentono di mettere le cose in chiaro, di scaricare le tensioni e di trovare quasi sempre un punto di accordo. Bisogna però evitare di ferire l’altro e di voler vincere a tutti i costi.
Il recupero lo si può fare migliorando se stessi appoggiandosi a uno psico- terapeuta o a un centro specializzato. In Italia ci sono centri che offrono agli «uomini maltrattanti» percorsi di recupero: ogni anno questi centri accolgono circa 300 uomini di diversa estrazione sociale, disposti a iniziare un percorso di cambiamento. L’adesione a questo tipo di programmi è volontaria e gli uomini possono arrivarvi di propria iniziativa oppure su invio di servizi sociali, forze dell’ordine, avvocati o magistrati.
Fonte: Mind – Mente e Cervello, dossier Giugno 2021 di Anna Olivero Ferraris