La meditazione per coltivare il silenzio interiore

La meditazione è lo strumento migliore che abbiamo per sfruttare gli innumerevoli benefici del silenzio, inoltre ci aiuta a mettere in ordine dentro noi stessi ed esercitare un silenzio ancora più prezioso, quello interiore. Nella vita frenetica odierna, l’assenza di stimoli sembra intollerabile: sentiamo il bisogno di mantenerci sempre impegnati in qualcosa.

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Nella nostra realtà, in effetti, il silenzio completo non esiste, o quasi: studi sulla musica come quelli di David Kraemer mostrano che se si interrompe bruscamente l’ascolto di un brano musicale che ci è familiare la corteccia uditiva rimane attiva come se stessimo continuando ad ascoltarlo. E quando il silenzio esiste può mettere a disagio.

Camere di deprivazione sensoriale e camere anecoiche

Pensiamo alle camere anecoiche, usate per misurazioni o esperimenti scientifici e costruite in modo da annullare l’eco dei suoni dalle pareti: chi ci entra sente solo il proprio battito cardiaco, o i rumori del proprio corpo, ma si tratta di un’esperienza stressante che pochi sopportano per più di 15 minuti.

Va un po’ meglio con le camere di deprivazione sensoriale, specie di gusci in cui ci si può rilassare galleggiando in una vasca piena di acqua salata e tiepida: sono usate per studiare come si modifica in queste condizioni l’attività cerebrale, ma si trovano anche in spa e centri benessere, anche se purtroppo il silenzio è rimpiazzato da una musica rilassante proprio per evitare reazioni negative.

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L’obiettivo del trattamento è ridurre ansia e stress – un dato confermato da alcune ricerche, tra cui un piccolo studio realizzato da ricercatori dell’Università di Tulsa e da poco pubblicato su «PLoS One» – ma in qualche caso può avere l’effetto contrario, e scatenare attacchi di panico. Perché il silenzio, anche quello che nasce semplicemente dalla scelta di non parlare per qualche ora, ci mette ansia e può fare paura. Questo spiega perché non tutti sono “portati” per la meditazione.

Uno studio realizzato nel 2014 all’Università della Virginia conferma che le persone si sentono a disagio se lasciate in silenzio, senza nient’altro da fare che seguire i propri pensieri. Ci stiamo disabituando ai momenti di quiete, abbiamo bisogno di riempire la realtà con qualcosa di esterno, mentre il silenzio ci obbliga a stare e a dialogare con noi stessi, con i nostri gesti, e diventa una cartina di tornasole dei nostri stati d’animo, un po’ come accade con la scrittura autobiografica.

La meditazione per coltivare il silenzio interiore

Lo stesso può avvenire quando si cerca di abbinare al silenzio esterno un silenzio interiore sostenuto da pratiche di meditazione. Spesso le due cose vanno di pari passo, «ma non necessariamente perché se si è impegnati in una conversazione silenziosa con se stessi si può essere circondati da rumori esterni senza notarli, grazie alla concentrazione: anche la scrittura, d’altra parte, è in grado di produrre il silenzio».

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Anche se nella maggior parte dei casi chi medita cerca un ambiente tranquillo, e in qualche caso un vero ritiro durante il quale si trascorre in silenzio gran parte della giornata: un’esperienza che può fare paura se non si è abituati. E’ interessante scoprire che cosa succede se si esce dalle nostre abitudini.

Il nostro cervello, come ricorda il neuroscienziato Moshe Bar, della Bar Ilan University, tende a essere proattivo, «una dinamica utile per la nostra sopravvivenza, che però può condizionare le nostre percezioni. Il pregio della meditazione sarebbe proprio quello di silenziare il rumore interno che condiziona il nostro modo di interpretare la realtà: in questo modo possiamo godere di quello che stiamo percependo con i nostri sensi, riducendo la contaminazione delle percezioni».

Meditare per non rimuginare

Varie ricerche mostrano che il continuo rimuginare ci lega a schemi mentali e paure: «Con la pratica della mindfulness, che consente di creare uno spazio interiore di silenzio, si può arrivare a percepire in modo più immediato e spontaneo le sensazioni, i pensieri, le emozioni che emergono momento per momento», spiega Paola Mamone – psicoterapeuta e docente di mindfulness – «questo significa iniziare a nutrire la fiducia, e ci permette di accogliere ciò che arriva senza cercare di cambiarlo, di trasformarlo».

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Non si tratta di cancellare i pensieri che affiorano alla mente, ma di osservarli, come se si trattasse di immagini che scorrono su uno schermo: «Non utilizzare il canale verbale ci permette di avere un accesso a una dimensione di spontaneità più immediata», prosegue la psicoterapeuta.

Il silenzio conferisce maggiore importanza all’agito

E se il silenzio ci sembra per definizione un’esperienza solitaria, è anche vero che ci sono molti casi in cui si sperimenta il silenzio a due: che è un segnale di intimità nelle relazioni – di solito ci si trova a proprio agio in silenzio solo con persone con cui si ha molta confidenza – ma anche in alcune fasi delle psicoterapie, e nei ritiri in cui parte dell’esperienza consiste nel vivere in silenzio le attività quotidiane. «In questi casi il silenzio è uno strumento interessante, che ci permette di accedere a livelli più profondi di conoscenza e relazione. Tanto che nostri studenti chiedono spesso come sia possibile lavorare come terapeuti se non si impara a osservare come ci si relaziona con i propri pensieri e con le proprie emozioni», spiega Mamone.

L’esperienza dei ritiri dove si pratica il silenzio permette di sperimentare un modo diverso per comunicare con se stessi e anche con gli altri: «Condividere il silenzio significa confrontarsi con una dimensione sociale, far emergere segnali e informazioni che di solito non si colgono – conclude la psicoterapeuta – come quando, durante i pasti in silenzio, risulta molto più evidente la gentilezza di un sorriso o di un gesto, del porgere a chi ci sta accanto un piatto o un bicchiere d’acqua».

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Fonte: Mind – Autore: Paola Emilia Cicerone