Il potere della mente sul sistema immunitario

Nel 2002 la Clinica universitaria di Essen sembrava un laboratorio di generi alimentari. Gli scienziati vi svolgevano un progetto insolito: creare una nuova bevanda, ma non una bevanda qualsiasi, una bevanda curativa.

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Per settimane erano andati alla ricerca del gusto e dell’aspetto perfetti. Perché? Il team guidato dallo psicologo Manfred Schedlowski aveva bisogno, per un esperimento, di una bevanda che i soggetti non avessero mai visto né gustato. Ne è risultato un frappè alla fragola verdognolo, all’aroma di lavanda.

Schedlowski studiava con i colleghi il condizionamento classico. Intendevano impiegare, come terapia, il meccanismo scoperto a inizio Novecento dal medico russo Ivan Pavlov. All’epoca Pavlov aveva rilevato, nei suoi studi sul sistema digerente, che nei cani i passi del proprietario scatenavano la salivazione, pur non essendoci ancora sentore di cibo.

L’esperimento di Pavlov

Per capire il fenomeno ideò un esperimento passato alla storia. Serviva ai cani un cibo squisito, accompagnato da un preciso stimolo sensoriale – il suono di un campanello – e ne raccoglieva la saliva con un tubicino. Tuttavia quando, dopo alcuni passaggi, Pavlov suonava il campanello senza alimentare i cani, il flusso di saliva iniziava. La conoscenza che Pavlov ricavò da questa osservazione aprì uno squarcio nella psicologia: le reazioni corporee si possono imparare con l’esperienza. O meglio, si possono condizionare.

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La nascita della psiconeuroimmunologia

Invece di un campanello, gli scienziati di Essen impiegano il frappè alla fragola verde. Cercano così di provocare una risposta specifica del sistema immunitario come Pavlov aveva provocato la saliva nei suoi animali da ricerca. Già lo scienziato russo e i suoi colleghi avevano scoperto gli indizi che il sistema immunitario si poteva condizionare.

Inoltre, sul finire dell’Ottocento circolavano storie di persone allergiche, che iniziavano a starnutire alla semplice vista di una rosa finta. Nel 1975 fu poi la volta di un esperimento innovativo che confermava l’esistenza di questo fenomeno e pose le basi di un nuovo ramo della scienza, il quale si occupa dell’in- terazione tra la psiche e il sistema nervoso e quello immunitario: la psiconeuroimmunologia.

La ricerca era stata svolta dallo psichiatra Nicholas Cohen e dallo psicologo Robert Ader, dell’Università di Rochester, nello Stato di New York. Avevano somministrato ai topi, insieme con un dolcificante, un farmaco che induceva nausea e reprimeva il sistema immunitario. Presto gli animali non solo svilupparono una repulsione verso qualsiasi gusto dolce, ma spesso morivano anzitempo: un’innocua soluzione zuccherina era bastata a disattivare il sistema immunitario dei roditori.

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La reazione del sistema immunitario alle sostanze dolci assomigliava a quella del farmaco. I ricercatori hanno così dedotto che i processi di apprendimento influenzano la difesa contro le malattie. Nel frattempo il fenomeno è stato dimostrato, oltre che negli animali, anche nell’uomo.

Il frappè come il campanello di Pavlov, ma ad essere condizionato è il sistema immunitario

Se le immagini di fiori di plastica possono scatenare sintomi allergici, allora con i processi di apprendimento si dovrebbero alleviare anche vari disturbi, pensavano i ricercatori dell’Università di Duisburg. Così nel 2008 hanno avviato la loro indagine. Inizialmente, 30 persone allergiche alla polvere ricevevano per cinque giorni il frappè verde, sempre accompagnato da un antistaminico.

I pazienti avrebbero così dovuto collegare inconsciamente l’effetto antiallergico del farmaco con il gusto del frappè. Dopo un intervallo di nove giorni i soggetti sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo riceveva l’antistaminico con acqua; il secondo un placebo con acqua; e il terzo gruppo un placebo con il frappè verde.

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I sintomi dell’allergia sarebbero migliorati? I volontari dovevano riferire quanto il loro naso era intasato e in quale grado gli occhi prudevano. Ebbene, che avessero assunto il farmaco oppure un placebo, non si registrarono grandi differenze: i sintomi erano diminuiti in tutti e tre i gruppi.

In un test, i ricercatori hanno applicato la sostanza allergenica sulla pelle del soggetto e determinato l’entità del rossore prodotto. In questo caso, il farmaco è stato il più efficace, ma anche il trattamento con il farmaco fittizio ha fatto regredire meno il rossore. L’eczema di chi aveva bevuto il frappè insieme con il placebo era un po’ meno intenso rispetto a chi lo aveva ingurgitato con acqua.

Come la mente condiziona il nostro sistema immunitario

Quale influenza sul sistema immunitario esercitava la convinzione di assumere un farmaco efficace? I ricercatori hanno misurato l’attività di speciali cellule immunitarie nel sangue, i granulociti basofili, che fanno parte del gruppo dei globuli bianchi e nelle reazioni allergiche sono rintracciabili moltiplicati nel sangue. L’osservazione è stata sorprendente: la combinazione di acqua e placebo riduceva di poco o nulla il numero dei basofili; invece il placebo associato al frappè era efficace come il farmaco.

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Mediante l’assunzione simultanea, il nostro organismo collega il frappè e il farmaco. Così il suo effetto antiallergico è attribuito talvolta alla bevanda. Questo principio non funziona soltanto per le allergie: si è riusciti a condizionare l’effetto dei farmaci in pazienti affetti da psoriasi, da sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), da artrite e da diverse malattie autoimmuni.

Un caso speciale di effetto placebo che prevede l’apprendimento per associazione inconscia da parte del nostro organismo

Quanto all’effetto terapeutico appreso, si tratta di un caso speciale di effetto placebo. L’obiettivo di Schedlowski è sfruttarlo per migliorare il trattamento con immunosoppressori, che causano talvolta forti effetti collaterali.

Queste sostanze devono essere assunte per tutta la vita, per esempio, dalle persone che hanno subito un trapianto d’organo, per impedirne il rigetto. Tuttavia, spesso anche i farmaci creano problemi: se riuscissimo a ridurre la dose avvalendoci delle risposte immunitarie apprese, molte complicanze si potrebbero evitare.

Per verificare la teoria, gli psiconeuroimmunologi hanno reclutato 34 volontari sani, che assumevano ciclosporina, un immunosoppressore, insieme con il frappè verde, due volte al giorno per tre giorni. Le analisi del sangue hanno indicato che il principio attivo reprimeva, come atteso, l’attività del sistema immunitario: particolari sostanze messaggere, come l’interleuchina-2, risultavano diminuite.

Poi, dopo una pausa di quattro giorni, i volontari consumavano di nuovo la bevanda, ma senza il farmaco: le molecole messaggere immunitarie si erano ridotte anche stavolta. Come se i partecipanti avessero assunto un immunosoppressore.

Incoraggiati dai risultati, il team di Manfred Schedlowski e l’esperto di placebo Ted Kaptchuk, della Harvard Medical School, nel 2017 hanno ripetuto l’esperimento con 30 persone, che avevano ricevuto un rene e dovevano quindi assumere un immunosoppressore. Per non correre rischi inutili, la dose della sostanza attiva era rimasta invariata. Il condizionamento avrebbe funzionato anche quando l’organismo era già abituato alla sostanza attiva? Ebbene, l’effetto terapeutico appreso insorgeva anche in questo caso: in combinazione con il frappè, il farmaco funzionava meglio di prima.

«Questi interventi comportamentali potrebbero, prima o poi, integrare in modo utile i trattamenti consolida- ti. L’effetto dell’immunoterapia risulta massimo, senza però aumentare gli effetti collaterali», spiega Schedlowski.

Autore: Corinna Hartmann, psicologa e giornalista scientifica | Mind