Le 10 motivazioni alla base del Tatuaggio

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Silke Wohlrab, antropologa all’Università di Göttingen, in un’ampia rassegna degli studi sui motivi per cui le persone dichiarano di tatuarsi o farsi dei piercing,  ha raccolto le motivazioni raggruppandole in dieci categorie.

  1. Estetica, arte, moda: per abbellire il proprio corpo.
  2. Individualità: per affermare la propria identità, distinguersi dagli altri,
    sentirsi in controllo del proprio aspetto.
  3. Narrazioni personali: come atto catartico, per esprimere valori personali
    e rivendicare il proprio corpo.
  4. Resistenza fisica: mettersi alla prova, sperimentare i propri limiti
    e la sopportazione del dolore.
  5. Affiliazione di gruppo: appartenenza a determinate sottoculture.
  6. Resistenza e opposizione: contrapposizione alla società o ai genitori.
  7. Spiritualità e tradizioni culturali
  8. Dipendenze: dipendenza fisica (data dalla liberazione di endorfine
    in risposta al dolore della procedura) o psicologica (basterà pensare ai cosiddetti «collezionisti di tatuaggi»)
  9. Motivazioni sessuali: come forma di ostentazione o di enfatizzazione della propria sessualità e, nel caso del piercing, anche di decorazione e stimolazione diretta dei genitali o dei capezzoli.
  10. Nessuna ragione precisa: per decisione impulsiva, in una minoranza di casi presa sotto l’influsso di alcol e droghe.

Un caso a parte è chi ha subito abusi, soprattutto di natura sessuale, e usa la body art come tentativo di recuperare un senso di proprietà e controllo del proprio corpo. Ma non sempre il soggetto trova la pace che cerca, come mostra chi continua ad accumulare un tatuaggio o un piercing dopo l’altro.

Alla base un’insicurezza esistenziale

Se queste sono le motivazioni in generale, perché proprio oggi questa moda sta esplodendo? «Perché è un modo efficace per affermare se stessi, con enormi possibilità espressive», sostiene Fulvio Tassi, ricercatore al Dipartimento Forlilipsi dell’Università di Firenze e autore di «Il Rinascimento del tatuaggio. Il significato psicologico di un’arte millenaria».

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«La mia lettura (condivisa da tanti ma non da tutti) è che il tatuaggio inizia a diffondersi nel ceto medio con l’avvento dell’era postmoderna, un’era che segna una crisi del senso del sé e dell’insicurezza esistenziale. A cui rispondiamo accentrandoci sul corpo, la cosa più sicura che abbiamo. E infatti si diffondono la cura del corpo, la palestra, gli sport estremi, ma anche i disturbi alimentari e via dicendo. In questa centralità del corpo, il tatuaggio è una forma espressiva che lo usa per esprimere se stessi e riscattare il senso del sé».

Il corpo è come un tempio che celebra se stesso

La cose è stata resa possibile dal forte allentamento della pressione normativa contro il tatuaggio. «Lo stigma sui tatuaggi è forte quando esistono grandi quadri di riferimento: nell’impero romano come in quello sovietico, nel buddismo come nelle tre grandi religioni monoteiste, perché il corpo dev’essere il tempio di dio dove si celebra l’ordine universale, non il tempio di sé che celebra la propria soggettività», spiega Tassi. Nei primi anni settanta, con la guerra in Vietnam degli Stati Uniti, la crisi economica nel Regno Unito, il venir meno dell’ordine e delle sicurezze passate, mancano coordinate di riferimento, e compaiono il tatuaggio e, più in generale, modificazioni corporee come il piercing e altre forme di body art.

Dice Tassi: «Il tatuaggio ha qualcosa di magico nel definire l’identità personale perché è sulla pelle ed è fatto con sangue e con dolore. La pelle è l’inizio, quasi la madre del sé. È depositaria delle memorie più antiche; la nostra prima percezione, è quella tattile. La pelle è sacco, scudo e setaccio: rivestendoci ci protegge ed è il primo elemento di mediazione col mondo esterno. Quando la vai a toccare, hai l’impressione di incidere sull’anima». In questo quadro in cui la pelle diviene un punto di mediazione con l’ambiente esterno, Tassi individua poi tre diversi filoni.

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Il tatuaggio per cambiare la propria natura

C’è il tatuaggio senza pensiero, tipico dell’adolescenza, che non esprime qualcosa di preciso se non l’atto stesso di farlo, la sensazione di cambiare il proprio corpo. Ho il senso di essere Dio, di ricreare me stesso (non a caso è vietato nelle religioni).

È un momento adrenalinico, già da prima di farlo, e ancor più quando lo fai e nei giorni seguenti: dà l’idea di cambiare la propria natura, di divenire padroni del proprio corpo. «È un classico il genitore dell’adolescente che reagisce dicendogli “io non ti ho fatto così”. Una giovane raccontava di essersi tatuata quando si è separata: “Prima non me lo permetteva mio padre, poi mio marito”. Non a caso negli anni settanta e ottanta il tatuaggio è stato legato al femminismo, “il corpo è mio e lo gestisco io”. Magari poi uno neanche si ricorda che tatuaggio si è fatto, e sono quelli che più probabilmente verranno poi rimossi», racconta Tassi.

Il tatuaggio che esprime quel che si vorrebbe essere

Poi c’è il tatuaggio creativo, che esprime aspetti originali di sé. Può essere quello più maturo, che parla di aspetti salienti della propria vita: momenti belli, pensieri, massime di vita, quel che si vorrebbe essere. O può anche esprimere traumi: a Parigi, molti sopravvissuti alla strage del Bataclan del 2015 si sono fatti tatuare. Come fa spesso chi rientra da guerre, o ha subito uno stupro o superato malattie gravi.

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Il tatuaggio che esprime un sé grandioso

Infine c’è il tatuaggio grandioso, in riferimento al «sé grandioso» del narcisismo, il senso esagerato e irrealistico di se stessi e della propria importanza. Poiché dà forza al senso del sé, il tatuaggio può servire anche a sognare di essere quello che non si è, e oggi questo uso si sta diffondendo, anche nella sua versione narcisistica: sono un superuomo, una superdonna, un super-qualcosa.

«Al mare vedevo persone comuni con tatuaggi tribali incredibili, e le immaginavo sedute alla scrivania dell’ufficio. In un surfista questi disegni ce li vedo, sono in linea con il suo fisico e con il suo vero sé; in quelle persone no», ricorda Tassi. «È cambiata l’idea del corpo, che non è più percepito come fisso e immodificabile», conferma Castellani. «Ora si è partecipi della sua costruzione, con i tatuaggi come con il piercing, il branding e le modificazioni corporee più estreme. E come del resto con la medicina estetica, il corpo non è un destino, ma lo si costruisce a proprio piacimento, come una casa».