La schizofrenia, che è relativamente diffusa e colpisce circa l’1 per cento della popolazione, è un problema mentale che viene descritto clinicamente da alterazioni cognitive gravi, con un deficit della memoria e delle funzioni esecutive (come la pianificazione, il controllo del comportamento o la flessibilità mentale), accompagnate da sintomi, detti positivi o negativi. Questi due ultimi termini si prestano a confusione, perché non procurano alcun concetto intuibile in chi li ascolta.
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I sintomi positivi della schizofrenia, corrispondono infatti all’acquisizione di comportamenti o pensieri patologici, che non ritroviamo in una persona non schizofrenica: agitazione, allucinazioni, pensieri deliranti (per esempio, manie persecutorie). Al contrario, i sintomi cosiddetti negativi (o deficitari) si manifestano sotto forma di declino delle funzioni cognitive dette normali: ottundimento delle emozioni, impoverimento del linguaggio, deficit di concentrazione, isolamento sociale.
I sintomi della schizofrenia variano molto da un paziente a un altro, e questo induce a suddividere la malattia in sottoclassi. Per esempio, nella schizofrenia «ebefrenica» i sintomi negativi, come l’isolamento sociale, figurano al primo posto. Al contrario, nella schizofrenia «paranoide» i sintomi positivi, come le allucinazioni o lo stato paranoico, sono predominanti.
Con 25 milioni di persone colpite nel mondo, questa malattia riguarda più frequentemente gli uomini che le donne (senza che se ne conoscano le ragioni) e si sviluppa in genere tra gli adolescenti e tra i giovani adulti intorno ai 25 anni. Ciò induce a pensare che le sue origini risiedano nello sviluppo del sistema nervoso.
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Sono stati identificati diversi fattori nello sviluppo della schizofrenia. Nessuno però è sufficiente da solo a spiegarla. Studi genetici familiari hanno dimostrato che l’ereditarietà (la trasmissione dei geni all’interno della famiglia) ha un ruolo importante: se da un lato il rischio di sviluppare la malattia nella popolazione generale è leggermente inferiore all’1 per cento, dall’altro la probabilità si triplica se uno dei nonni è colpito dalla malattia, e si moltiplica per 10 se lo è uno dei genitori, un fratello o una sorella; addirittura raggiunge il 50 per cento nel caso di un gemello.
Fattori genetici
Alla schizofrenia sono state associate diverse mutazioni specifiche. La più frequente è la delezione detta 22q11, caratterizzata dalla perdita di una grossa parte del cromosoma 22, che comprende una quarantina di geni. Altri geni implicati sono i geni C4, NRGI, NR4A2. Di questi, una parte contribuisce alla maturazione del sistema nervoso. È lecito quindi supporre che il loro malfunzionamento generi un cablaggio anomalo del cervello.
Tuttavia, nessuno di questi fattori genetici è una condizione sufficiente per la comparsa dei sintomi della schizofrenia: alcune persone, che pure ne sono portatrici, non svilupperanno mai la malattia. Per esempio, due terzi dei soggetti portatori della delezione 22q11 non si ammala di schizofrenia.
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Fattori ambientali psicologici e non
Significa che entrano in gioco altri parametri. Si tratta di fattori ambientali, legati alla storia e al vissuto dell’individuo, come l’instabilità familiare, problemi sociali o di discriminazione, il luogo di residenza (per esempio, vivere in una grande città aumenta il rischio di soffrire di schizofrenia). Anche eventi precoci possono agire da substrato per la malattia: un trauma prenatale o perinatale, come un’infezione in utero o difficoltà legate al travaglio, favorirebbero lo sviluppo della malattia.
È stato inoltre accertato che l’esposizione a determinate sostanze tossiche (come il solvente percloroetilene utilizzato in particolare nel lavaggio a secco dei vestiti) o a droghe «ricreative» (come la cannabis) aumenta la probabilità di sviluppare i sintomi. Ma, di nuovo, questi fattori non sono sufficienti a scatenare la malattia: la maggior parte delle persone che ingeriscono o che respirano queste sostanze non si ammala.
Malattia multi-fattoriale
Allo stato delle cose, si ammette che l’esordio della schizofrenie dipende dalla combinazione di diversi fattori genetici e ambientali, alcuni dei quali formano un terreno di vulnerabilità propizio allo sviluppo della malattia, e altri costituiscono l’elemento scatenante dei primi sintomi psicotici.
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Per ora contro questa malattia disponiamo in realtà ancora di poche armi. Il più delle volte i pazienti sono curati con farmaci, cui si associa una psicoterapia. Con risultati parziali.
Un problema di sincronizzazione
Studi recenti hanno evidenziato, nella schizofrenia, anomalie di comunicazione tra l’ippocampo e la corteccia prefrontale. Queste due strutture contribuiscono
alla memorizzazione e a funzioni esecutive come la pianificazione: le facoltà alterate nelle persone affette da schizofrenia. Sono state inoltre identificate anomalie tra i neuroni all’interno di ciascuna delle due strutture.
In realtà, nelle condizioni normali le reti neuronali sono sincronizzate, ossia le attività di ogni neurone coincidono. Ma ciò non succede più negli animali «modello» della malattia. La causa? Un deficit di attività di piccole cellule inibitorie, i neuroni parvalbuminici, il cui ruolo è proprio sincronizzare i principali neuroni dell’ippocampo e della corteccia prefrontale.
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Autore: Thomas Marissal, ricercatore dell’Institut de neurobiologie de la Méditerranée, a Marsiglia | Mind