Diamo più valore alle ricompense che alle punizioni

In un mondo ideale, impareremmo sia dai successi che dai fallimenti, ma purtroppo il nostro cervello non funziona così. Il nostro cervello non è una macchina imparziale, ma impara di più da alcune esperienze che da altre.

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Diamo più valore alle ricompense che alle punizioni

Il pregiudizio di positività ci spinge a dare più valore alle ricompense che alle punizioni. Il pregiudizio di conferma ci fa accettare tutto ciò che conferma quello che credevamo già e rifiutare ciò che mostra che ci eravamo sbagliati. Tuttavia, un nuovo studio ha trovato che nel fondo di questi pregiudizi c’è un ruolo per la libera scelta.

Usando compiti molto semplici, un gruppo di ricercatori guidati da Stefano Palminteri, dell’Institut national de la santé et de la recherche médicale di Parigi, ha trovato che la libertà di scelta ha una chiara influenza sul processo decisionale. I partecipanti hanno osservato due simboli su uno schermo e poi ne hanno selezionato uno premendo un tasto per imparare, attraverso prove ed errori, quale immagine dava il maggior numero di punti. Alla fine dell’esperimento, i soggetti scambiavano i punti con denaro.

Un’attenta progettazione ha escluso interpretazioni concorrenti. Per esempio, quando la scelta tra le due opzioni era libera, i soggetti imparavano più rapidamente dai simboli associati a una maggiore ricompensa rispetto a quelli associati alla punizione (la perdita di punti), il che potrebbe sembrare simile al pregiudizio di conferma ma non lo è!

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Questa interpretazione, infatti, è stata esclusa da test che ha dimostrato che in una condizione di libera scelta i soggetti imparavano anche dai risultati negativi, apprendendo a evitare le perdite.

Gli effetti delle «imposizioni»

A sua volta, questo potrebbe somigliare al pregiudizio di conferma (i soggetti imparavano meglio dai risultati che confermavano che avevano avuto ragione, positivi o negativi che fossero). Ma i test includevano anche prove di «scelta obbligata» in cui il computer diceva quale opzione selezionare.

In quella situazione, i risultati positivi e negativi avevano lo stesso peso sull’apprendimento, e questo potrebbe sembrare una buona cosa, se non fosse che nella scelta forzata i tassi di apprendimento erano più lenti: come se i partecipanti fossero meno coinvolti nei risultati, un po’ come un bambino che studia per compiacere un genitore.

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Quando sono artefice delle mie scelte

Poiché il pregiudizio di conferma si presentava solo durante le situazioni di libera scelta, gli autori lo hanno soprannominato «pregiudizio di conferma della scelta». La tendenza persisteva sia che le ricompense fossero scarse o abbondanti. «I nostri soggetti non erano in grado di regolare il pregiudizio in funzione dell’ambiente», dice Palminteri. «Sembrava una tendenza innata».

Questa osservazione suggerisce che il cervello è predisposto ad apprendere seguendo un pregiudizio ancorato alle azioni scelte liberamente. Il tipo di scelta altera l’equilibrio dell’apprendimento: alle prese con la stessa azione e lo stesso risultato, il cervello impara in modo diverso e più rapidamente dalle scelte libere che da quelle forzate.

Questo squilibrio può sembrare un difetto cognitivo, ma usando modelli computerizzati il team di Palminteri ha scoperto che il pregiudizio di conferma della scelta offre un vantaggio: rispetto all’apprendimento imparziale, produce un apprendimento più stabile in un’ampia varietà di condizioni simulate.

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Quindi, anche se questa tendenza si traduce occasionalmente in decisioni o convinzioni sbagliate, nel lungo periodo può rendere il cervello predisposto a imparare di più dall’esito delle azioni scelte liberamente, che molto probabilmente rappresentano ciò che è più importante per una persona.

«Il lavoro dimostra che questo pregiudizio non è necessariamente irrazionale, ma in realtà è un meccanismo utile per insegnarci qualcosa sul mondo», commenta Philip Corlett, della Yale University, che non ha partecipato allo studio.

L’importanza della percezione del controllo

Corlett studia le origini dei ragionamenti illusori, e concorda che il modo in cui un individuo percepisce il proprio controllo su una situazione può spostare la sua interpretazione degli eventi che lo circondano. «Sentire di essere gli artefici degli eventi che si stanno vivendo è [un sentimento] potente e porterà certamente a rafforzare molto di più le proprie convinzioni su quegli eventi», dice.

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Il ruolo della scelta individuato nell’esperimento suggerisce che il nostro senso del controllo di una situazione influenza il modo in cui impariamo – o non impariamo – dalle nostre esperienze. Questa intuizione potrebbe anche aiutare a spiegare il pensiero illusorio, in cui le false convinzioni rimangono impenetrabili all’evidenza contraria.

L’eccessiva illusione di controllo

Un’eccessiva sensazione di controllo può contribuire a un’adesione incrollabile a una credenza errata. Le illusioni possono essere un segno di psicosi, in cui possono implicare convinzioni estreme come essere rapiti dagli alieni o l’incarnazione di un dio.

Convinzioni illusorie più blande riguardano però anche persone altrimenti sane, per esempio la superstizione di un tifoso che indossa una maglietta fortunata per garantire la vittoria della sua squadra. Più gravemente, l’attuale pandemia di coronavirus ha dato origine ad alcune convizioni illusorie, come quella che indossare la mascherina faccia ammalare.

Quindi, una falsa credenza rimane fissata, e qualunque evento la contraddica non è accettato dal cervello. Se la libertà di scelta è il punto di riferimento che regola il modo in cui impariamo (con o senza preconcetti di conferma), allora forse c’è qualcosa nella scelta o in un senso di controllo gonfiato che spinge le persone verso le illusioni.

Il ragionamento illusorio per sostenere false credenze

Può darsi che chi ragiona in modo illusorio scelga di avere esperienze particolari per sostenere una falsa credenza e scelga di interpretare le informazioni in un modo che supporti quella credenza. Questa eventualità non è stata sottoposta a prove sperimentali.

Le domande alle quali dovranno rispondere le prossime ricerche, tuttavia, riguardano il modo in cui si aggiornano le credenze illusorie di una persona e se questo processo differisce quando le scelte sono forzate o libere. Per aiutare chi ragiona in modo illusorio, i risultati attuali suggeriscono che potrebbe essere più efficace esaminare il loro senso di controllo e le loro scelte piuttosto che cercare di convincerli con prove che li contraddicono, una tattica che ha dimostrato più e più volte di non funzionare.

Un’altra questione sollevata da questa ricerca è: cosa può influenzare il senso di controllo di una persona? Può essere una caratteristica intrinseca della personalità di un individuo? Oppure potrebbe essere più elastico, come suggerisce un recente studio sul personale militare in Belgio, che riferisce un senso maggiore di controllo tra i cadetti più anziani, che sono più avanti nella formazione e danno ordini, rispetto ai novellini, che obbediscono. Il senso di controllo di questi ultimi è risultato parimenti diminuito sia nelle situazioni di libera scelta che in quelle di scelta forzata.

Pandemia e irrazionalità

Lo studio non ha indagato se una sensazione di ridotto controllo abbia influito sull’apprendimento di questi soggetti, e le attuali ricerche stanno esaminando se questa mentalità segue i soggetti al di là di un contesto militare. Ma se il senso di controllo di una persona influenza la forza del suo pregiudizio di conferma della scelta, è interessante considerare l’impatto del 2020 – un anno devastato dalla pandemia e dall’incertezza economica e politica – sulla cognizione di un individuo.

«C’è questa sensazione generale che le regole non si applicano più, e questo è davvero disorientante per le persone e può portare a comportamenti imprevedibili e irrazionali», dice Corlett, che ha da poco condotto uno studio, non ancora pubblicato, che ha tracciato i cambiamenti nei livelli di paranoia prima e durante la diffusione di Covid-19.

Non è chiaro se il pregiudizio di conferma della scelta appena individuato possa ispirare il modo di diffondere le informazioni sanitarie al grande pubblico durante una pandemia. Per esempio, forse l’uso volontario della mascherina potrebbe essere incoraggiato ricompensando la scelta di indossarla e non sanzionando chi non lo fa.

Secondo Palminteri, è difficile estrapolare dai suoi esperimenti dati applicabili alle circostanze confuse, complicate e in qualche modo rimosse dell’uso della mascherina. Ma il punto fondamentale è che i preconcetti sono profondamente radicati nella psiche umana. «Si potrebbe pensare che quando la posta in gioco è così alta, gli esseri umani si comportino in modo razionale», dice. «Ma questo è tutt’altro che evidente».

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