Cosa accade nel cervello quando ci sentiamo giù, quando diventiamo ansiosi o tristi

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Mi sento depresso e ansioso. Non riesco a smettere di pensare agli errori fatti o a tutte le volte che le cose non sono andate come dovevano!”

Questi stati d’animo possono essere estremamente faticosi e debilitanti. Possono esaurire completamente la nostra energia vitale. Ma cosa accade nel cervello quando ci sentiamo depressi o ansiosi? Esiste una “firma” neuronale che corrisponde a questi stati soggettivi?
Una nuova ricerca ha identificato un modello comune di attività cerebrale che potrebbe essere alla base di questi sentimenti sgradevoli.

La presenza di onde beta sincronizzate nell’amigdala e nell’ippocampo rappresenta un biomarcatore fortemente informativo di ansia, depressione e disturbi dell’umore.

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La maggior parte della ricerca sul cervello umano relativa ai disturbi dell’umore, all’ansia e alla depressione, si è basata su studi in cui i partecipanti si trovano in uno scanner per la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e guardano immagini sconvolgenti o ascoltano storie tristi.

Questi studi hanno aiutato ad identificare le aree cerebrali associate all’emozione in individui sani ed in individui ansiosi o depressi, ma non rivelano molto sulle naturali fluttuazioni d’umore che le persone provano nel corso della giornata.

La ricerca appena pubblicata ha cercato di colmare questa lacuna registrando in modo continuativo l’attività cerebrale in un gruppo di volontari umani per più di una settimana.

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Sbalzi d’umore e schemi neuronali

Così facendo è stato possibile collegare in modo chiaro i quotidiani e transitori sbalzi di umore con specifici schemi di attivazione cerebrale. Gli stessi schemi di attivazione che poi sono anche alla base di condizioni neuropsichiatriche quali la depressione e l’ansia.

I ricercatori sono stati in grado di vedere i reali substrati neurali dell’umore umano direttamente dal cervello, e di comprendere come specifiche regioni del cervello contribuiscono alla patogenesi dei disturbi dell’umore.

Sono stati reclutati 21 volontari, soggetti affetti da epilessia, i quali avevano dai 40 ai 70 elettrodi impiantati nel cervello in corrispondenza sia delle zone superficiali che delle strutture profonde dell’encefalo.

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L’impianto di elettrodi è parte di una procedura standard per la preparazione alla rimozione chirurgica del tessuto nervoso responsabile dell’epilessia.

I ricercatori hanno registrato un’ampia gamma di attività cerebrali in questi pazienti nel corso di circa dieci giorni, concentrandosi in particolare su alcune strutture cerebrali profonde che sono state precedentemente identificate come fondamentali nella regolazione dell’umore.

Contemporaneamente, i pazienti avevano il compito di registrare regolarmente, numerose volte al giorno, il loro tono emotivo mediate un dispositivo digitale.

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I ricercatori hanno quindi utilizzato algoritmi computazionali per abbinare i modelli dell’attività cerebrale ai cambiamenti nell’umore riferito dai pazienti.

Per evitare di essere influenzati dalle informazioni fornite dai volontari il team di ricerca ha prima analizzato le registrazioni a lungo termine dell’attività cerebrale in ciascun partecipante per identificare le cosiddette reti di coerenza intrinseca (ICN).

Le reti di coerenza intrinseca sono formate da gruppi di regioni cerebrali i cui pattern di attività fluttuano regolarmente all’unisono ad una frequenza comune (come i membri di una banda che marciano allo stesso posso).

Questa sincronizzazione è considerata come un indizio di affinità funzionale tra aree del cervello, magari distanti, che partecipano alla stessa elaborazione di dati.

I ricercatori hanno mappato le reti di coerenza intrinseca in ogni soggetto su diagrammi di connettività neurale. Confrontando questi dati sono emerse diverse “catene”, gruppi di regioni cerebrali che sono state ripetutamente sincronizzate a frequenze specifiche.

Una di queste “catene” era altamente attiva e coordinata in 13 partecipanti, i quali avevano anche ottenuto punteggi particolarmente elevati in una valutazione psicologica relativa all’ansia di base, condotta prima dell’inizio dello studio.

In questi stessi individui, i cambiamenti nell’attività di questa rete cerebrale erano anche altamente correlati con gli attacchi giornalieri di ansia di depressione o di umore basso.

Questa rete, correlata con ansia e depressione, era caratterizzata da onde beta – oscillazioni sincronizzate tra 13 e 30 cicli al secondo – nell’ippocampo e nell’amigdala, due regioni del cervello profondo che sono state a lungo legate, rispettivamente, alla memoria e alle emozioni negative.

Il team di ricerca si è detto “sconcertato” dalla chiarezza del risultato

Sono rimasti sorpresi dall’aver identificato un singolo segnale che, da solo, ha quasi completamente rappresentato gli sbalzi di umore in un gruppo così numeroso di volontari.

L’identificazione di un biomarcatore così fortemente informativo è stata confermato anche dal fatto che era completamente assente in otto partecipanti alla ricerca, tutti caratterizzati da bassi livelli di ansia. Ciò suggerisce che il cervello delle persone inclini all’ansia possa differire da quello degli altri nel modo in cui elabora le situazioni emotive.

Sulla base di ciò che sappiamo di queste strutture cerebrali, i dati suggeriscono che le interazioni tra l’amigdala e l’ippocampo potrebbero essere collegate al recupero di ricordi emotivi negativi e che questo processo di recupero sia particolarmente attivo nelle persone con alti livelli di ansia, il cui umore è conseguentemente soggetto a potenti interferenze da parte di ricordi intrusivi sgradevoli.

Nei soggetti ansiosi o stressati è più probabile che uno stimolo neutro, presente nell’ambiente, abbia il potere (probabilmente come conseguenza di un precedente condizionamento) di attivare i centri di rilevazione delle minacce (amigdala) che a loro volta rendono maggiormente attivo il processo di recupero mnestico (ippocampo) di ogni evento minaccioso vissuto in precedenza al fine di organizzare una strategia di difesa e di protezione dal pericolo (corteccia prefrontale).

FONTE|cell.com