Fino agli anni novanta gli scienziati ritenevano che già nell’embrione fossero stati concepiti tutti i neuroni e che dopo la nascita non se ne formassero di nuovi. In breve, il delicato sistema non sopportava nuove componenti. Nel 1965, Joseph Altman e Gopal Das, del Massachusetts Institute of Technology, avevano evidenziato per la prima volta la neurogenesi adulta nel topo.
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Oggi da esperimenti con animali sappiamo che il processo avviene soltanto in poche regioni cerebrali, le nicchie di cellule staminali. Buona parte di esse risiede nella zona subependimale del ventricolo esterno, ripieno di liquido cerebrospinale. Da qui le cellule migrano nel bulbo olfattivo, nella parte anteriore del cervello, dove maturano in neuroni adulti e si integrano nella rete neuronale. Le cellule giovani sono straordinariamente adattabili e modulano l’elaborazione dell’informazione in particolari regioni del cervello. Così sembra giovarsi delle nuove cellule, per esempio, la memoria a lungo termine. Inoltre, nei roditori l’attività sia cognitiva che fisica stimola la neurogenesi.
Il cervello umano può produrre nuovi neuroni
Non è possibile eseguire esperimenti di questo genere nell’uomo. Nel frattempo, però, sono state svolte ricerche che rivelano che anche il cervello umano è nelle condizioni, per tutta la vita, di formare nuovi neuroni. I primi indizi li ha forniti nel 1998 un team di ricercatori svedesi e statunitensi. È stato indagato il tessuto cerebrale di pazienti morti di tumore che avevano assunto in vita, a uso diagnostico, un farmaco che lascia le proprie tracce nel DNA di cellule neonate. I ricercatori hanno riscontrato simili indicatori anche nei neuroni.
Nel 2010 Gerd Kempermann, del Deutschen Zentrum per le malattie degenerative, e i suoi colleghi hanno rintracciato una particolare proteina nel tessuto cerebrale dell’ippocampo di persone decedute, che negli animali era stata identificata come marcatore della neurogenesi. E nelle persone morte, che in vita erano state sottoposte a dosi elevate di radiazioni, ha permesso addirittura di determinare con la datazione al radiocarbonio all’incirca quando e quanti neuroni nel loro cervello sono stati generati. Nel 2013 una ricerca di questo tipo è giunta alla conclusione che nell’ippocampo di una persona adulta si aggiungono circa 700 neuroni al giorno. Settecento neuroni al giorno sembrano tanti? Non lo sono, questa somma, su base quotidiana, corrisponde a una crescita annua pari solo all’1,75 per cento in quest’area.
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Come stimolare la neurogenesi in soggetti sani
Le ricerche suggeriscono che vi sono dei fattori in grado di sostenere, migliorare o addirittura promuovere la produzione di nuovi neuroni. Se alcuni di questi fattori sono intuibili, altri sono davvero impensabili.
- Dormire una giusta quantità di ore
- Curare la qualità del sonno
- Stimolare le funzioni cognitive
- Passare più tempo nella natura
- Svolgere attività fisica
- Stare in condizioni di silenzio
Essere distratti, dissociati o sovraccarichi di pensieri e stati emotivi, non fa affatto bene al cervello. Stimolando le funzioni cognitive in modo sano, come l’attenzione, la percezione volta al momento presente, il ragionamento e la memoria, è possibile promuovere la produzione di nuovi neuroni e ritardare l’invecchiamento dei neuroni già presenti.
Il silenzio, inteso come silenzio ambientale e silenzio interiore, dirige la nostra attenzione al momento presente, infatti può essere considerato una modalità di accesso privilegiato a ciò che viviamo attimo per attimo. Una ricerca condotta sul silenzio, ha osservato che uno stato silenzioso può indurre la produzione di nuovi neuroni come risposta a uno stimolo.
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Tutti sanno che una passeggiata immersi nella natura può essere un autentico toccasana, ma pochi sanno che passeggiare nel verde o anche soltanto ammirare paesaggi naturali, stimola la produzione di onde alfa nel cervello, condizione ideale per migliorare la facoltà mentali, stimolare le funzioni cognitivie e indurre la neurogenesi. Al contrario, la città andrebbe ad attivare i circuiti della paura legati all’amigdala. Per tutte le informazioni sullo studio: la città attiva l’amigdala, la natura stimola le onde alfa.
Una speranza per Parkinson e altre malattie neurodegenerative
Da allora la domanda è la seguente: è possibile sfruttare la neurogenesi in modo mirato per guarire lesioni neuronali e le malattie neurodegenerative? Le evidenze scientifiche si moltiplicano e la speranza arriva dalle cellule staminali e dalla possibilità di trasforamre le cellule gliali in neuroni funzionanti. Le cellule gliali hanno caratteristiche simile a delle staminali e possono svilupparsi in cellule nervose se modificate geneticamente con vettori virali.
Nella primavera del 2020 il team guidato da Gong Chen, dell’Università di Jinan, in Cina, ha sostituito cellule nervose morte in topi affetti da corea di Huntington con cellule gliali manipolate geneticamente. A causa della corea di Huntington muoiono neuroni, e ciò innesca deficit motori e infine la morte. Con i vettori virali, iniettati nell’area cerebrale interessata, i ricercatori hanno trasformato quasi l’80 per cento delle cellule gliali nei tipi neuronali desiderati. È così migliorata l’attività motoria dei topi, i quali sono vissuti più a lungo rispetto a un gruppo di controllo non trattato.
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Nel giugno 2020 il gruppo di Xiang- Dong Fu, all’Università della California a San Francisco, ha trattato con questo metodo topi con sintomi simili al Parkinson. In questa malattia muoiono progressivamente le cellule che producono dopamina nella substantia nigra, l’area cerebrale che controlla il movimento, e chi ne è colpito perde poco alla volta il controllo dei muscoli. Il team ha programmato cellule gliali nel cervello degli animali in cellule nervose produttrici di dopamina, disattivando una particolare proteina nelle cellule gliali. In seguito, la concentrazione di dopamina nel loro cervello era raddoppiata, e avevano ripreso a muoversi, senza arrestar- si né tremare. Questi risultati alimentano la speranza di trattare un giorno il Parkinson e altre patologie simili. Tuttavia, nonostante i primi successi, «saranno necessarie ulteriori ricerche prima che la metodica sia applicabile in campo clinico».
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