Le ricerche di Benjamin Libet, professore di fisiologia all’università della California a Davis, dimostrano che l’attività neurale che avvia un’azione si verifica effettivamente un terzo di secondo prima che si abbia preso la decisione cosciente di intraprendere l’azione. Questo, secondo B. Libet, comporta che la decisione sia in realtà un’illusione, che la “coscienza sia fuori dal giro“. Interessante punto di vista a questo proposito è quello dello scienziato psico-cognitivo e filosofo Daniel Dennett, che rivolta l’approccio classico con queste parole: “L’azione inizialmente viene avviata in qualche parte del cervello, e subito partono i segnali verso i muscoli, che si fermano un istante sulla loro strada per dire a voi, l’agente cosciente, che cosa succede (ma, come tutti i buoni ufficiali, fanno in modo che voi, il goffo presidente, conserviate l’illusione di essere quello che ha dato il via a tutto).” Certamente D. Dennett non nega il libero arbitrio (è infatti compatibilista).
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Riguardo alle decisioni più complesse, uno studio recente condotto da John Paerson rivela che la corteccia cingolata posteriore, legata a fattori come l’attenzione, la memoria e il pensiero cognitivo, svolge un ruolo fondamentale quando noi prendiamo una decisione difficile. E quando si tratta di scelte quotidiane?
La sicurezza con cui ogni giorno prendiamo decine di decisioni dipende dall’attività di alcuni neuroni del lobo temporale. Anche se non ci consideriamo degli abitudinari, ogni giorno ci sono una serie di azioni che compiamo: movimenti, gesti, scelte ricorrenti… a guidarci sono dei neuroni che memorizzando una scelta, ne registrano anche la certezza.
Al bar abbiamo più voglia di un caffè macchiato o di un cappuccino? Per andare a lavoro meglio l’auto o la bicicletta? Trascorrere la serata con gli amici o uscire per una cena galante? La sicurezza con cui ogni giorno prendiamo decine di decisioni dipende dall’attività di alcuni neuroni del lobo temporale.
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Lo hanno scoperto i ricercatori dell’Ospedale universitario di Bonn grazie a un esperimento su 12 pazienti sottoposti a un intervento neurochirurgico per trattare l’epilessia. Durante l’operazione, grazie a degli elettrodi posti sulla superficie cerebrale, gli scienziati hanno registrato l’attività di 830 neuroni del lobo temporale mediale mentre i pazienti giudicavano 190 coppie di snack.
I partecipanti dovevano indicare il cibo preferito tra le due opzioni proposte – una barretta di cioccolato e un sacchetto di patatine – muovendo un cursore verso l’immagine prescelta. Più il cursore era vicino alla foto (e lontano dal centro della barra), maggiore era la sicurezza nella decisione.
«La frequenza di scarica di alcuni neuroni cambiava con l’aumentare della certezza nelle proprie scelte», spiega Alexander Unruh-Pinheiro, ricercatore presso il dipartimento di epilettologia dell’Università di Bonn e primo autore dello studio pubblicato su «Current Biology».
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«Per esempio, alcune cellule scaricavano tanto più spesso, quanto più la persona era sicura della sua preferenza». La scoperta ha stupito gli stessi scienziati che stavano cercando di osservare un fenomeno completamente diverso. Quando prendiamo una decisione, assegniamo un valore soggettivo alle varie opzioni.
Altri studi hanno evidenziato come questo giudizio personale si rifletta nell’attività di singoli neuroni. Una correlazione non ritrovata dai ricercatori tedeschi, che hanno invece osservato per la prima volta un rapporto tra l’attività nervosa e la sicurezza nel prendere decisioni.
Essendo il lobo temporale importante anche nella memoria, secondo gli autori, è possibile che quando immagazziniamo il ricordo di una scelta, registriamo anche il livello di certezza con cui l’abbiamo presa. Questo processo ci aiuterebbe ad evitare di prendere in futuro cattive decisioni.
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E gli indecisi patologici?
Probabilmente, gli indecisi patologici, nei loro vissuti storici, non hanno costruito ricordi di certezze in grado di coadiuvare l’associazione tra scelta e livello di sicurezza. Questa potrebbe essere l’ennesima testimonianza del fitto intreccio tra cognizione e neuroplasticità.
Le scelte casuali diventano preferenze
Pensate all’ultima volta che avete compiuto una scelta. Probabilmente credete di aver selezionato l’opzione che vi piaceva di più. Eppure, una nuova ricerca guidata da Lisa Feigenson, della John Hopkins University, suggerisce che succede spesso il contrario: quell’opzione ci piace proprio perché l’abbiamo scelta.
Per ottenere questi risultati, pubblicati su «Psychological Science», i ricercatori hanno condotto esperimenti su bambini di 10-20 mesi, dando loro la possibilità di scegliere tra due giocattoli in maniera casuale.
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Successivamente, è stato loro proposto di scegliere tra l’oggetto scartato e uno nuovo. In tutte le prove i bambini hanno scelto di giocare con il nuovo oggetto, considerando quello scartato non molto interessante. L’atto di operare una scelta modella le nostre preferenze, anche se non abbiamo ancora sviluppato una piena coscienza di noi stessi.
Autore: Salute Psicofisica