Ulcere e gastriti hanno cause psicologiche?

La netta distinzione tra mente e corpo appare ormai sempre più come il risultato di una necessità classificatoria invece che di un confronto serrato con i dati empirici: la mente è parte integrante del corpo e ne influenza funzionamenti fisiologici e patologici.

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La mente e il corpo interagiscono in misura tale da influire sulla salute globale di una persona. L’apparato digerente è profondamente controllato dalla mente (cervello) e gli stati d’ansia, la depressione e la paura ne compromettono notevolmente la funzione. Lo stress sociale e psicologico può scatenare o aggravare molte patologie e disturbi, come diabete mellito, ipertensione arteriosa e cefalea emicranica.

L’interazione mente-corpo è bidirezionale. Non solo i fattori psicologici possono contribuire all’insorgenza o all’aggravamento di una vasta gamma di disturbi fisici, ma anche le patologie organiche possono influire sul pensiero o sull’umore della persona. Ma adesso parliamo di gastriti e ulcere.

La paura si modula con la parola, spiega Aristotele, ma di certo si sente nello stomaco, conferma una recente ricerca. E nel confermarlo rimette in gioco la relazione tra stress e patologie gastrointestinali che sembrava, in qualche modo, morta e sepolta dal Nobel per la medicina a Barry Marshall e Robin Warren che mostrarono, appunto, che la causa diretta delle ulcere gastriche è Helicobacter pylori, un batterio che si insedia nello stomaco.

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Altro che cause psicologiche, si disse all’epoca. Ma la questione è molto più complessa di così e presenta molti spunti interessanti.

Gastriti e ulcere sono di origine psicologica?

Nei primi anni ottanta del Novecento, Marshall iniziò a lavorare su gastriti e ulcere e si convinse che fossero di origine batterica piuttosto che psicologica. I tentativi di pubblicazione, tuttavia, finirono tutti nel cestino e la comunità scientifica mostrò verso il suo lavoro uno scetticismo ai limiti della derisione.

Lo scienziato Marshall, decise, allora, di bersi il contenuto di una piastra di Petri del batterio per causarsi l’ulcera. Con sua stessa sorpresa, dopo solo pochi giorni iniziò a sviluppare i sintomi, che furono debellati grazie agli antibiotici. Il suo articolo, pubblicato nel 1985 sul «Medical Journal of Australia», è tuttora uno dei più citati. Fine dell’ipotesi psicologica? Non proprio.

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Una comunicazione efficiente

Peter Strick e David Levinthal, del Brain Institute dell’Università di Pittsburgh, hanno pubblicato di recente sui «Proceedings of the National Academy of Sciences» un lavoro nel quale mostrano che nei topi esistono due vie veloci che connettono l’apparato gastrico con il cervello.

Queste due vie sovrintendono rispettivamente ai comportamenti digestivi (rest and digest, riposa e digerisci) e a quelli reattivi (fight or flight, fuggi o combatti).

I comportamenti digestivi sono regolati dalla regione posteriore dell’insula, che agisce sulle nostre reazioni viscerali e le emozioni, mentre quelli reattivi vanno sotto il controllo della corteccia motoria primaria, deputata appunto alla gestione dei muscoli scheletrici, quelli che ci fanno muovere. In sostanza, cervello e sistema gastrointestinale si «parlano» e lo fanno in maniera piuttosto efficiente e rapida.

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Il risultato, quindi, integra il lavoro di Marshall e Warren: le persone che hanno Helycobacter non necessariamente sviluppano sintomi di gastrite perché il microbioma, ossia l’insieme dei microrganismi dello stomaco, può essere modificato tramite una risposta cerebrale, un fatto questo finora del tutto ignorato.

E’ una questione di metodo e prospettiva

L’aspetto filosoficamente interessante di una ricerca del genere è che mette un po’ sotto pressione la distinzione, spesso manichea, tra mente e corpo. Certamente batteri e bioma fanno parte della componente corporea mentre emozioni e azione volontaria possono essere ascritte al mentale. Ma se le une e le altre interagiscono in questo modo così profondo e rapido, la loro distinzione sembra una sorta di ragionamento portato al limite, il risultato più di una necessità classificatoria che di un confronto serrato con i dati empirici.

Naturalmente, la filosofia non deve farsi intrappolare troppo dai dati empirici, per quelli ci sono gli scienziati che ne sanno molto di più. Nondimeno, le tesi filosofiche non possono far torto ai risultati che emergono dalla ricerca empirica, e quindi debbono con questi essere quantomeno compatibili. E questo dato ci insegna che un atto mentale è ipso facto fisico e viceversa, e le analisi concettuali ne debbono tenere conto. È una questione di metodo, e anche la filosofia deve avere il suo.

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