Il contatto con la natura induce un’abbassamento dell’attività della corteccia prefrontale ventromediale, una zona cerebrale associata ai pensieri negativi, e un aumento delle «onde alfa». Queste onde lente, misurate con elettrocardiogramma, sono caratteristiche di uno stato di rilassamento. Al contrario, guardare una scena urbana attiva l’amigdala, il centro cerebrale dell’ansia e delle emozioni negative.
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Per milioni di anni i nostri antenati hanno vissuto nella natura. È qui che, generazione dopo generazione, l’evoluzione ha compiuto la sua opera, forgiando i nostri geni e il nostro sistema neuronale. Ancora oggi il nostro cervello vi sarebbe adattato, anzi, una serie di studi condotti nel campo delle neuroscienze mostra che in un ambiente naturale le prestazioni cerebrali sono migliori e che lo stato psicologico risulta più positivo.
L’ottimizzazione dei risultati comincia al livello più elementare, quello della percezione. Le ricerche suggeriscono anche che la nostra corteccia visiva è particolarmente efficace nell’analizzare le scene naturali, riuscendo a distinguere meglio gli elementi elementari dell’immagine (l’orientamento delle linee, i contrasti, le forme e così via).
Nel 2016 Florian Mormann e i suoi colleghi dell’Università di Bonn, in Germania, hanno inoltre dimostrato che alcuni neuroni del giro ippocampale umano sono specializzati nel riconoscimento di scene esterne; essendo questa regione strettamente connessa all’ippocampo, un centro della memoria, questa capacità potrebbe contribuire a memorizzare meglio i luoghi, in particolare naturali, al momento della formazione di un ricordo.
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Ma l’effetto della natura non si limita alla percezione. In uno studio condotto nel 2015 da Zheng Chen e dai suoi colleghi dell’Università Tongji, a Shanghai, un gruppo di partecipanti doveva sedersi per 20 minuti in un ambiente artificiale, e l’altro gruppo in un ambiente naturale, mentre l’encefalogramma registrava la loro attività cerebrale. I ricercatori hanno constatato allora che le differenti aree cerebrali interagiscono maggiormente quando siamo circondati dalla vegetazione. Secondo il loro parere, questo è un segno evidente che il cervello è più efficiente in questa condizione.
In natura, il cervello rimugina meno
Ma l’efficenza non è tutto. Sappiamo che la natura ha molteplici effetti sul benessere, e cominciamo anche a comprenderli. Nel 2015 Gregory Bratman e i suoi colleghi della Stanford University hanno cercato di capire perché un ambiente naturale protegga dalla depressione e dai disturbi d’ansia. Hanno dimostrato che 90 minuti di cammino nella natura conducono a una riduzione dell’attività della corteccia prefrontale ventromediale, area associata alla riflessione e alla concentrazione su se stessi, e quindi ai pensieri negativi, onnipresenti nei depressi. Con un questionario, i ricercatori hanno confermato che dopo la passeggiata i pensieri diminuivano. Benefici che però non sono stati osservati dopo una camminata in un ambiente urbano.
Una parte della spiegazione deriva dal fatto che la natura ha un fascino dolce, che distoglie l’attenzione dal nostro rimuginare. Fin dagli anni novanta i ricercatori Stephen e Rachel Kaplan hanno mostrato fino a che punto questo «fascino senza sforzo» sia benefico. Ma esattamente che cosa cattura la nostra attenzione, nei paesaggi naturali? Certo abbondano di distrazioni – lo spettacolo degli alberi che danzano, il fruscio del vento, l’odore della terra – che certamente hanno un ruolo. Ma diversi studi hanno mostrato che esiste un altro parametro importante, puramente visivo e chiamato «dimensione frattale». I frattali sono forme che fanno apparire motivi simili in differenti scale di misura: per esempio, un ramo d’albero o una semplice linea retta (quando si «zoomma» si ottiene sempre lo stesso motivo). Ma i frattali naturali sono più ruvidi, più imprecisi di quelli presenti negli ambienti artificiali. I motivi non sono gli stessi alle differenti scale e le forme sono nell’insieme più irregolari, e questo si traduce matematicamente con una dimensione frattale superiore.
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E’ l’imperfezione che induce il benessere
È proprio l’imperfezione dei motivi che sembra catturare l’attenzione degli osservatori. E sarebbe ancora più grande se la natura fosse preservata: nel 2018 Paul Stevens e i suoi colleghi dell’Università di Derby, nel Regno Unito, hanno dimostrato che più la biodiversità di un luogo è ricca, più la sua dimensione frattale è elevata e più questo luogo ispira emozioni positive in chi lo guarda.
Uno stato psicologico gradevole che si vive nel cervello
Nel 2015 Caroline Hägerhäll e colleghi dell’Università svedese di scienze agrarie hanno misurato con un encefalogramma l’attività cerebrale di partecipanti che guardavano sia forme frattali presenti in natura, sia frattali esatti. I ricercatori hanno così constatato che l’esposizione ai frattali naturali induce la produzione di onde alfa, caratteristiche di uno stato di rilassamento.
Fin dal 1981 Roger Ulrich, dell’Università del Delaware, aveva mostrato la presenza di onde alfa quando si contempla un paesaggio naturale anziché un ambiente urbano. Così la natura sollecita i nostri sistemi neuronali dolcemente, senza sovraccaricarli. L’attenzione non è catturata con violenza da rumori aggressivi, né bloccata su pensieri negativi; al contrario, alterna gradevolmente tra il mondo circostante e i propri pensieri. Inoltre il cervello analizza facilmente ciò che percepisce, essendosi adattato a questo ambiente durante la sua lunga evoluzione.
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La città è fonte di stress
Al contrario, l’ambiente urbano è fonte di stress e di emozioni negative. Nel 2010, grazie alla risonanza magnetica, il ricercatore coreano Kwang-Won Ki e i suoi colleghi hanno scoperto che la vista di un ambiente artificiale attiva l’amigdala, area associata all’ansia.
Questa attivazione non è stata osservata di fronte a scene di natura. Interrogati sul loro stato emotivo dopo la risonanza, il 50 per cento dei volontari che avevano osservato ambienti urbani ha dichiarato di essersi sentito «soffocato», contro il 4 per cento di chi aveva contemplato paesaggi naturali. Più del 90 per cento di questi ultimi si era invece sentito «a proprio agio».
Fonte: American Scientific – Autore: Alex Cosquer
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