Il fallimento: «prerequisito essenziale per il successo»

La ricetta per riuscire in qualunque campo non è un mistero: buone idee, duro lavoro, disciplina, immaginazione, perseveranza e forse un po’ di fortuna. Ma non bisogna dimenticare il fallimento: che Dashun Wang e i suoi colleghi della Northwestern University definiscono «il prerequisito essenziale per il successo» in un nuovo articolo che, tra l’altro, si basa sull’analisi di 776.721 domande di finanziamento presentate ai National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti dal 1985 al 2015.

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Nel tentativo di creare un modello matematico in grado di prevedere in modo affidabile il successo o il fallimento di un’impresa, i ricercatori hanno analizzato anche 46 anni di investimenti in capitale di rischio per l’avvio di nuove aziende. E hanno messo alla prova il loro modello anche su quello che Wang definisce il loro insieme di dati «meno convenzionale», ma comunque importante: 170.350 attacchi terroristici effettuati tra il 1970 e il 2017.

«Ogni vincitore inizia come un perdente»

Il risultato? «Ogni vincitore inizia come un perdente», dice Wang, professore associato di management e organizzazioni alla Northwestern’s Kellogg School of Management, che ha ideato e condotto lo studio. Ma, aggiunge, non tutti i fallimenti portano al successo. E ciò che alla fine separa i vincitori dai perdenti, secondo quanto dimostra la ricerca, non è certo la perseveranza, il vecchio «chi la dura la vince». Uno dei risultati più intriganti dell’articolo, infatti, è che chi alla fine ha avuto successo e chi alla fine ha fallito ha effettuato praticamente lo stesso numero di tentativi per raggiungere il proprio obiettivo.

A quanto si scopre, provare più e più volte funziona solo se si impara dai propri fallimenti precedenti. L’idea è quella di lavorare in modo intelligente, non duro. «Bisogna capire che cosa ha funzionato e che cosa non ha funzionato, e poi concentrarsi su che cosa deve essere migliorato invece di distruggere e cambiare tutto», dice Wang. «Le persone che hanno fallito non hanno necessariamente lavorato meno [di quelle che hanno avuto successo]. Avrebbero anche potuto lavorare di più; ma hanno fatto cambiamenti più inutili».

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Mentre esploravano «i meccanismi che governano le dinamiche del fallimento» e costruivano il loro modello, Wang e colleghi hanno identificato quelli che descrivono come segnali statistici precedentemente sconosciuti che separano i gruppi di successo da quelli falliti, e rendono possibile prevedere i risultati finali.

IL FATTORE TEMPO

Uno di questi indicatori chiave (oltre a tenere le cose che funzionano e concentrarsi su quello che non funziona) è il tempo che passa tra tentativi falliti consecutivi, che dovrebbe diminuire costantemente. In altre parole, più velocemente si fallisce, migliori sono le possibilità di successo, e più tempo passa tra un tentativo e l’altro, più probabilità ci sono di fallire di nuovo.

«Se qualcuno ha fatto domanda per una sovvenzione e se l’è vista rifiutare per tre volte – dice Wang – basta guardare il tempo che intercorre tra i fallimenti per essere in grado di prevedere se alla fine avranno successo o meno».

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Il gigantesco database degli NIH, che Wang definisce «un cimitero pieno di fallimenti umani», si è rivelato la realizzazione del sogno di uno scienziato. «Di ogni ricercatore principale [il primo firmatario della richiesta di finanziamenti, N.d.R.] – spiega Wang – sappiamo esattamente quando ha fallito, e sappiamo quanto male ha fallito perché conosciamo i punteggi ottenuti dalla proposta. E sappiamo anche quando alla fine ci sono riusciti, dopo aver fallito più e più volte, e hanno ottenuto la loro prima sovvenzione».

Per il settore delle startup, il successo è stato identificato in una IPO, un’offerta pubblica iniziale dei titoli dell’azienda, o una fusione e acquisizione di alto valore. Per il terrorismo, infine, gli attacchi che hanno ucciso almeno una persona sono stati classificati come successi, mentre i fallimenti erano gli attacchi che non hanno causato vittime. Il numero medio di fallimenti per coloro che hanno fallito almeno una volta prima del successo è risultato di 2,03 per le richieste di finanziamenti agli NIH, di 1,5 per le startup e di 3,90 per i gruppi terroristici.

UN PUNTO DI SVOLTA

Avendo lavorato con una base dati di dimensioni così ampie, Wang e i suoi colleghi sono stati in grado di identificare un punto critico comune a ciascuna delle centinaia di migliaia di imprese analizzate, un bivio nella strada in cui un percorso conduce a una situazione di progressione e uno porta a una situazione di stagnazione.

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Come si legge nell’articolo, «due individui vicino al punto critico all’inizio possono apparire identici nella loro strategia di apprendimento o in altre caratteristiche, ma a seconda della situazione in cui si trovano, i risultati che ottengono successivamente ai fallimenti potrebbero differire drammaticamente».

Questo schema divergente di prestazioni aumenta a ogni nuovo tentativo, afferma Wang, anche se in alcuni casi è evidente già al secondo tentativo in qua- le situazione si trova una persona. Wang sottolinea che l’esistenza del punto di svolta è in contrasto con le tradizionali spiegazioni del fallimento o del successo, come la fortuna o le abitudini lavorative di una persona. «Quello che stiamo mostrando qui è che, anche in assenza di quelle differenze, si posso- no avere risultati molto diversi», spiega. Ciò che conta è come le persone falliscono, come rispondono al fallimento e dove portano questi fallimenti.

IL RUOLO DEL FALLIMENTO

Guardando al futuro, Yian Yin, il primo autore dello studio, dice che i passi successivi delle loro ricerche includono un affinamento del modello per arrivare quantificare altre caratteristiche individuali e organizzative oltre alla capacità di imparare dai fallimenti passati. Il modello di Wang, che ora è stato ormai messo alla prova in tre settori molto diversi tra loro, appare uno strumento promettente da utilizzare anche in al- tri campi, commenta Albert-László Barabási, direttore del Center for Complex Network Research presso la Northeastern University e autore del volume” La formula. Le leggi universali del successo” (Einaudi, 2019).

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«Ci sono innumerevoli studi che cercano di capire in che modo le persone e i prodotti arrivano al successo», dice. «Tuttavia, c’è una comprensione molto scarsa del ruolo del fallimento. Il lavoro di Wang riscrive in modo fondamentale il modo in cui concepiamo il successo, mostrando il ruolo chiave che il fallimento gioca in esso, e finalmente un quadro metodologico e concettuale per collocare il fallimento nel posto che gli spetta nel sistema del successo».

Articolo originale: QUANTIFYING THE DYNAMICS OF FAILURE ACROSS SCIENCE, STARTUPS AND SECURITY,
di Yian Yin, Yang Wang, James A. Evans & Dashun Wang, in «Nature»