Figli di madri schizofreniche: il celebre studio finlandese

Questo studio è stato il più importante degli ultimi decenni perché ha preso in considerazione l’ipotesi che fattori genetici possano embricarsi con quelli ambientali nella genesi della schizofrenia e di altri quadri psicopatologici. Vale la pena descriverlo in dettaglio.

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È stata studiata una popolazione a rischio su tutto il territorio nazionale finlandese comprendente tutte le donne ospedalizzate per schizofrenia. Il campione includeva sia le pazienti ricoverate al 1 gennaio 1960 che i ricoveri consecutivi per schizofrenia avvenuti fino al 1979, per un totale di 19.447 donne schizofreniche.

Dai registri comunali e parrocchiali furono poi selezionate tutte le pazienti che avevano dato in adozione un figlio nel periodo considerato. Attraverso questi registri, furono trovate 264 donne che avevano dato in adozione 291 figli. Di questi bambini, 94 furono esclusi dall’indagine per svariate ragioni: 34 adottati da un parente, 35 adottati fuori del territorio nazionale, 24 adottati dopo i 4 anni di età e 1 la cui adozione non è stata confermata.

Dopo aver preso contatto ed intervistato tutte le madri biologiche e le famiglie adottive, 12 ulteriori casi furono esclusi: 2 bambini erano morti prima di raggiungere l’età di rischio per la schizofrenia, 1 era stato adottato da un parente, 3 famiglie si erano trasferite all’estero quando il bambino era ancora piccolo e 6 madri furono escluse perché l’intervista non confermava la diagnosi di schizofrenia.

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Figli di madri schizofreniche e gruppo di controllo

Un totale di 185 bambini, figli di 171 «casi indice», furono ammessi a partecipare allo studio. Questi bambini erano figli di madri schizofreniche, adottati nei primi 4 anni di vita da famiglie senza rapporto di parentela. I casi indice avevano una diagnosi di schizofrenia o psicosi paranoide ed erano stati valutati in maniera particolareggiata con riferimento a numerose variabili cliniche e psicometriche.

I bambini a rischio e le loro famiglie adottive sono stati comparati secondo una classica procedura di doppio cieco con un gruppo di controllo costituito da bambini a loro volta adottati, ma i cui genitori non erano stati ospedalizzati per psicosi. I bambini del gruppo di controllo erano confrontabili con il gruppo indice per l’età al momento dell’adozione, l’età della madre biologica e della madre adottiva, il sesso, la classe sociale ed il contesto residenziale.

Tra le variabili ambientali prese in considerazione è stato misurato anche il livello di salute mentale familiare. Le famiglie, a partire dal 1977, sono state intervistate da ricercatori esperti con l’utilizzazione di metodi audiovisivi che hanno consentito di verificare l’affidabilità delle diagnosi effettuate e tests psicometrici (Rorschach, MMPI, WAIS). Sulla base dei dati raccolti, i livelli di benessere mentale della famiglia del bambino ad alto rischio sono stati suddivisi secondo tre livelli.

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Livello 1: famiglia adottiva sana

Sana, termine utilizzato per una famiglia in cui i conflitti tra i membri sono passeggeri o rari, i confini psichici tra i membri della famiglia e tra questa e l’esterno sono ben definiti, i livelli di ansia o depressione sono lievi ed il funzionamento familiare è adeguato, sia rispetto al ciclo di vita e sia rispetto alle circostanze esterne che coinvolgono la famiglia.

Livello 2: famiglia adottiva moderatamente disturbata

Moderatamente disturbata, per definire famiglie in cui vi sono conflitti non risolti di gravità lieve o moderata, i confini psicologici sono chiari ed il test di realtà è buono; i ruoli familiari non sono adeguati all’età ed alle capacità dei membri.

Livello 3: famiglia adottiva severamente disturbata

Severamente disturbata, per le famiglie con disadattamento o francamente caotiche per conflitti severi di cui i membri non hanno consapevolezza ed in cui i confini psicologici tra i membri sono rigidi, poco chiari ed instabili.

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I risultati

Nel 1990 i risultati preliminari indicavano che, indipendentemente dal gruppo a cui i bambini appartenevano (casi indice o controlli), gli adottati in famiglie diagnosticate come «sane» avevano un’incidenza di psicopatologia trascurabile, che le madri biologiche fossero o no schizofreniche.

Di contro, i bambini adottati da genitori adottivi disturbati, indipendentemente dal gruppo di appartenenza, presentavano molti più disturbi psicopatologici, anche se la percentuale era maggiore nelle famiglie con un bambino a rischio rispetto ad un bambino di controllo. Se i genitori adottivi erano entrambi «disturbati», il livello di gravità psicopatologica degli adottati, risultava maggiore.

L’interazione tra fattori genetici e ambientali

A commento di questi risultati Tienari et al. ipotizzavano che l’evidenza statistica di un’interazione fra fattori genetici e ambientali potesse essere di tre tipi:

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1. i fattori genetici sono specifici e necessari ed interagiscono con fattori ambientali non specifici;
2. i fattori genetici non sono specifici e contribuiscono al determinarsi di una psicopatologia non specifica.

La vulnerabilità genetica, presente solamente in sottogruppo di soggetti a rischio, potrebbe essere un fattore necessario per il determinarsi della schizofrenia, ma un ambiente disturbante durante la crescita potrebbe essere altrettanto determinante nel trasformare la vulnerabilità in patologia manifesta. Quindi, essere allevati in una famiglia «sana» potrebbe rappresentare un fattore protettivo per il bambino a rischio.

3. è possibile che la vulnerabilità genetica della prole si esprima ad un livello comportamentale, in forme tali da innescare comportamenti disfunzionali nelle famiglie adottive in grado di r troagire sulla prole a rischio fino al determinarsi della malattia.

Con queste affermazioni, i ricercatori ponevano domande sul modello di trasmissione della schizofrenia. Per rispondere a questi quesiti fondamentali sull’interazione genetico-ambientale, nel 1997 il gruppo del Finnish high risk project ha trovato che gli adottati ad alto rischio genetico sembravano essere protetti dall’insorgenza della psicosi per il fatto di essere stati adottati da una famiglia adottiva «sana».

La communication deviance di Wahlberg

Viceversa, i bambini più disturbati, da un punto di vista psichiatrico, provenivano da famiglie adottive altamente disturbate. Successivamente, Wahlberg, utilizzando la «communication deviance» (il grado di distorsione delle modalità comunicative familiari) delle famiglie adottive, quale predittore di un possibile disturbo del pensiero nella prole high risk, ha effettuato uno studio i cui risultati sembrerebbero dimostrare che non vi è alcuna differenza nella variabile «disturbo del pensiero» fra adottati ad alto e basso rischio genetico. Come ipotizzato in ricerche precedenti, i livelli di disturbo del pensiero nei probandi dipendevano esclusivamente dal livello di disturbo comportamentale familiare e non dall’appartenenza ad un gruppo a rischio.

In accordo alla seconda ipotesi formulata prima, il tipo di interazione genetico-ambientale evidenziata in questi studi, è spiegato secondo il modello detto «controllo genetico della sensibilità all’ambiente» di Kendler e Eaves. Secondo tale modello, i geni sono in condizione di controllare la sensibilità di un individuo ai fattori ambientali, sia in senso predisponente che protettivo.

I prodromi della malattia

Tra i markers antecedenti l’esordio della schizofrenia, descritti da Tienari et al. sono stati identificati:  anomalie comportamentali, emozionali, cognitive e neurologiche. Inoltre, alcuni dati epidemiologici farebbero ipotizzare che tra i fattori di rischio vi sia anche l’appartenenza ad una classe sociale elevata ed aver avuto una performance scolastica eccellente.

Le conclusioni

Nel 2003, il gruppo finlandese ha pubblicato un lavoro in cui sono riportati i tassi di prevalenza per schizofrenia, «strettamente definita», nel gruppo di soggetti ad alto rischio, seguiti fino ad un’età media di 44 anni. Negli adottati «high risk» queste si aggirano intorno al 5,34% (SE 1,97%), una percentuale non significativa rispetto a quella di soggetti adottati di madre biologica non schizofrenica del gruppo di controllo 1,74 (SE = 1,00%).

Mentre nel gruppo degli adottati ad alto rischio il numero di coloro che diventerà schizofrenico è di 27 su 145, nel gruppo di controllo 8 soggetti su 145 hanno manifestato la malattia. Pur non potendo certo negare l’importanza di una influenza genetica, questo risultato è incredibilmente al di sotto di quello che ci si sarebbe potuti aspettare. Ma ancor più sorprendente il fatto che, 32 dei 35 soggetti con malattia conclamata, erano stati allevati in famiglie classificate come severamente disturbata. Presi nella loro globalità questi dati suggeriscono che uno sviluppo in una famiglia «sana» riduce la probabilità che la malattia si manifesti, anche se è presente un genotipo a rischio o comunque evidenzia il fatto che un rischio genetico per manifestarsi necessita di determinanti ambientali «precoci».

Tratto da: «La lunga strada per prevedere la schizofrenia: studi prospettici, fattori di rischio psicosociali, bambini resistenti e metamorfosi adolescenziale». Autore: Gaetano DELL’ERBA
Dipartimento di Salute Mentale, ASL Roma B, IV Area Territoriale, Roma

Lo studio originale: Tienari P, Lahti I, Sorri A, Naarala M, Moring J, Wahlberg KE, et al. «The finnish adoptive family study of schizophrenia», J Psychiatr Res 1987;21:437-45.